Il distacco dall’impianto centralizzato

Con la riforma del condominio si devono fare i conti con l’esistenza di un diritto “codificato” al distacco, in contrasto con disposizioni comunitarie, nazionali e regionali.

Il riscaldamento è tra le più rilevanti, se non la più consistente, voce di spesa del bilancio familiare: di qui non solo l’interesse per l’argomento ma anche l’elevata conflittualità in ambito condominiale. Per tale ragione, nei giorni successivi all’approvazione della Riforma del Condominio (Legge 11.12.2012 n. 220), i media hanno amplificato il tema del distacco dal riscaldamento centralizzato, sebbene l’argomento non abbia alcuna connotazione di novità e nemmeno, ormai, di fattibilità e convenienza, come ben sanno gli operatori del settore. Il legislatore, infatti, ponendosi in controtendenza rispetto a tutta la più recente normativa sulle prestazioni energetiche degli edifici, ha semplicemente codificato un orientamento giurisprudenziale che si era consolidato negli anni, su presupposti tecnici e normativi superati.

La Riforma del condominio introduce un ultimo, nuovo comma, all’art. 1118 del Codice Civile, in base al quale il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, a condizione che dal suo distacco non derivino squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso è previsto che il rinunziante concorra al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.

BASTA DIMOSTRARE L’ASSENZA DI SQUILIBRI DI FUNZIONAMENTO. Nell’ambito dei lavori parlamentari era stata inizialmente proposta e approvata una diversa formulazione della norma che prevedeva, quale presupposto del distacco, l’esistenza di problemi tecnici dell’impianto condominiale, non risolti dal Condominio nell’arco di una intera stagione di riscaldamento e, di conseguenza, una inadeguata erogazione di calore nell’appartamento del condomino interessato. Nella formulazione finale, il legislatore ha optato invece per un recepimento tout court del diritto al distacco dal centralizzato, così come già configurato dalla giurisprudenza: il solo presupposto richiesto (peraltro non così scontato da attestare da parte del tecnico) continua ad essere l’assenza di squilibri di funzionamento o di aggravi di spesa per gli altri condomini.

Pannelli solari

l’assemblea condominiale non può negare l’autorizzazione

L’assemblea non può negare l’autorizzazione a un condomino di installare sul tetto comune dell’edificio i pannelli solari per la produzione di energia alternativa a suo uso personale. Può solo limitarsi a prescrivere adeguate modalità alternative di esecuzione dell’intervento, se questo comporta la modifica delle parti comuni, o a imporre le opportune cautele apannelli solari termici salvaguardia delle stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio: il tutto con una delibera che deve essere approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e i due terzi del valore dell’edificio.Con le stesse maggioranze può decidere sulla ripartizione dell’uso delle parti comuni interessate dalla posa dei pannelli solari, nel caso in cui più condomini ne facciano contestuale richiesta. Lo ha chiarito il tribunale di Milano che, nella sentenza 11707 del 7 ottobre scorso, ha applicato le disposizioni dell’articolo 1122-bis del Codice civile, introdotto dalla riforma del condominio (legge 220/2012).Il caso è stato sollevato da un condomino, che aveva impugnato la decisione con cui l’assemblea gli aveva vietato – sulla base di generiche e non provate problematiche inerenti la lesione del decoro architettonico e della stabilità dell’edificio condominiale – di posizionare sul tetto comune i pannelli fotovoltaici a proprio uso esclusivo. L’articolo 1122-bis del Codice civile concede la possibilità al condomino, tra l’altro, di installare pannelli solari senza necessità di ottenere il preventivo consenso dell’assemblea, sulla falsariga di quanto disposto dall’articolo 1102, comma 1, del Codice civile, di cui l’articolo 1122-bis costituisce ipotesi applicativa.L’intervento deve però essere eseguito in modo tale da arrecare il minor pregiudizio possibile sia alle parti comuni dell’edificio, sia alle unità immobiliari di proprietà dei singoli condomini. Tanto che l’articolo 1122-bis, al comma 3, impone al condomino di interpellare l’assemblea solo qualora le opere che intende eseguire comportino delle modificazioni delle parti comuni interessate dai lavori, obbligandolo a indicare all’amministratore il «contenuto specifico» degli interventi e le «modalità» con cui vuole porli in essere. L’assemblea, pertanto, è chiamata a intervenire solo quando l’impianto voluto dal condomino renda necessario modificare le parti comuni condominiali.In questo caso, si applica l’articolo 1102 del Codice civile, secondo cui ciascun condomino può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Senza interpellare l’assemblea, il condomino è dunque legittimato a installare, in base all’articolo 1122-bis del Codice civile,un proprio impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili.Nel caso esaminato, il giudice milanese ha ritenuto che il comportamento dell’assemblea, negando al condomino il consenso all’installazione dell’impianto fotovoltaico, abbia esercitato una facoltà non consentita dalla legge e abbia violato il diritto soggettivo di un condomino all’utilizzo delle parti comuni. Il tribunale ha quindi dichiarato l’invalidità della delibera dell’assemblea.